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Siamo in cammino

Un’avventura chiamata counseling

di Dario Pasqualini
Allievo del Corso triennale di formazione in Counseling Professionale di Collage Counseling

Sono arrivato tardi al counseling, quando ho smesso di “vendere tappeti” e ora ho il tempo per pensare e per soddisfare la mia curiosità di guardare sotto la crosta. Ho iniziato con lo stimolo di un’avventura dove conta la strada, quello che scopri viaggiando. Dove si arriva non si sa.

La molla è l’entusiasmo di fare cose nuove e la voglia di cambiamento; il modo è mettersi in gioco in prima persona.

Il counseling è per me una sfida perché è orizzontale, mentre la mia struttura è verticale, ereditata dalla scuola e dal lavoro.
A scuola c’era il maestro depositario del sapere; al lavoro io operavo su un problema e dovevo trovare una soluzione, altrimenti che senso poteva avere il mio esserci?
Adesso non devo trovare soluzioni a qualcun altro, ma accompagnarlo in un cammino che mi ricorda l’andare in montagna.
Si decide insieme dove andare, con flessibilità: il tempo può cambiare all’improvviso.
Chi guida deve avere a cuore l’altro, coordinare passo e andatura, si va su assieme, ognuno con le proprie gambe e con la testa per capire dove è meglio passare. Chi guida va avanti, ma capita che si assuma il ruolo di “tirare” a turno. Chi viene da secondo deve salire con le sue gambe, non essere tirato su come un sacco di patate.

Ora il mio lavoro è entrare in sintonia con una persona, accompagnarla sulla crescente stima che ha di se stessa e rimuovere degli ostacoli perché trovi le soluzioni idonee per il momento che sta vivendo. E io? Imparo e cresco con lei, non appartengo alla categoria dei “nati imparati”, anche se a volte mi piacerebbe tanto…

Siamo sullo stesso livello, io comunico quello che sono, cercando anche di osservarmi e di vedermi agire dall’esterno, l’altro comunica quello che è e mi comunica come mi vede, quello che io sono dal suo punto di vista. Così cadono i veli e posso scoprire quella parte di me che ho oscurato a me stesso e l’altro invece vede benissimo. E può dirmi che cosa gli ho detto di importante per lui, che magari è completamente diverso da quello che pensavo. Magari per l’altro è più importante uno sguardo, una sensazione che gli ho comunicato, o che lui ha comunicato a me, piuttosto che le tante parole che vengono dal cervello quando è staccato dal corpo e dalle emozioni.

Il sapere senza l’anima serve solo a manipolare l’altro, vendendogli che lui sa cosa si deve fare.

Nel rapporto non c’è nulla di codificato, ogni persona è diversa dall’altra, non ci sono schemi a priori, non devo indicare che cosa si fa. L’incontro appartiene al cliente, che decide di utilizzarlo come crede. Ascoltare, ascoltare, ascoltare, la voce e il corpo dell’altro.
Ascoltare il silenzio, che fa parte del dialogo e che io tendo a riempire di parole per evitare l’imbarazzo di non sapere cosa dire.

C’è quel nulla apparente e tutto di sostanza che è l’incontro tra due persone, la fiducia reciproca che smuove scelte e decisioni e che attiva dei contatti profondi, insospettati, in cui non c’entra come la pensi, a cosa credi, a quale fede o ideologia, ma c’entra la comprensione e l’accettazione di quello che l’altro è. Che è diverso da me, non è la mia fotocopia, e magari mi è pure antipatico…

Ce la farò? Sento che non sarà facile per me che, mi dicono, sono un impulsivo.
Ciò che mi spinge è un desiderio che sento mi è coerente: coinvolgermi in prima persona e supportare un altro, per quello che riesco; è un po’come mettere le ali ai figli, che in questo caso non sono figli, e aiutarli a volare via, se anch’io sono capace di volare.
Il piacere è vederli volare. Magari sono più bravi loro. A volte, proprio come con i figli, si ha la sensazione di essere una zattera nell’oceano e non tira un alito di vento.

Forse è il senso di essere genitore che mi può aiutare a trovare il bandolo di questa matassa semplice, trasparente e terribilmente complicata.
È come la libertà: ci posso fare quello che voglio o mi posso perdere dentro.
Libertà è crescita personale, è trovare la possibilità di essere se stessi.
Non c’è regola, non c’è programma di riferimento, devo mettermi in gioco seguendo solo un filo sottile, una voce dal buio che mi aiuta ad aprirmi a un mondo più grande, a più spazio intorno, dove nasce la creatività che è l’alimento dell’empatia.

E se la creatività non viene?

Forse occorre lasciarmi un po’andare e accettare le mie aree di vulnerabilità e di debolezza. Lasciarmi andare anche in un colloquio con la mia morte, che da un paio d’anni sento più vicina. Abita nella porta accanto e per il momento non bussa alla mia, ma è una presenza tangibile. Paura? Certo. Io non c’ero prima di nascere e non ci sarò dopo morto, ma adesso vivo, qui e ora.

Senza il passato attaccato addosso, che è passato e non ci si può fare nulla, se non cercare di rimediare a qualcosa se ci si riesce, e sentendomi attaccato al presente, che è la mia vita ora. Non posso fare le cose che facevo anni fa quand’ero più giovane, ma adesso posso fare le cose con cui vivo bene, qui e ora. Domani è un altro giorno, si vedrà…

Anni fa, camminando in montagna su un sentiero alto abbiamo incontrato, fermo ad ammirare il paesaggio, un signore anziano. Abbiamo poi scoperto che aveva 80 anni. Un amico con cui stavo salendo ha manifestato qualche preoccupazione per il fatto che alla sua età fosse da solo, in montagna, poteva non stare bene… Lui non gli ha neanche risposto, ha fatto solo un ampio cenno con la mano come a dire: guardati intorno, c’è forse un posto più bello dove morire?

Anche questo fa parte di quell’abisso senza fondo che è la consapevolezza di me.
Penso che sia qualcosa di fluido, dinamico, che mi segue, a volte anche se non voglio.
Quando penso di sapere chiaramente chi sono e dove sono, improvvisamente, come salmoni, saltano fuori cose del tutto inaspettate che possono anche cambiare nel giro di dieci minuti.
Cerco di essere dentro ai piccoli segnali di ogni giorno che mi arrivano, a quello che sento, a emozioni magari sconnesse da quello che accade, a pulsioni, reazioni fisiche, reazioni degli altri, desideri, delusioni… Ogni cosa è un frammento di verità, la metto da parte, poi magari un giorno ricostruisco il puzzle.

È tutto un ricostruire, un riscoprire… Andiamo avanti!

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