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Festività e relazioni

Natale con i tuoi o con chi vuoi?

In questi giorni arrivano e mandiamo auguri… Auguri sentiti, di cuore, a chi amiamo. Più formali a chi ci sentiamo in dovere di inviarli, come se questa data imminente ci mettesse in condizione di non poterci sottrarre a qualche esteriorità relazionale. Ma quale senso profondo ha per noi, davvero, il Natale? Possiamo farne un’occasione di verità, di incontri veri, di relazioni profonde?

Se vale il detto popolare “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, cavalcato dalle pubblicità che mostrano cene in famiglie sorridenti, tavolate piene di leccornie e panettoni, salotti luccicanti con tanti pacchetti colorati sotto l’albero, Babbi Natale che portano doni ai bambini buoni, coppie che si scambiano profumi francesi e genitori che regalano ai figli smartphone ultimo modello… in questi giorni dovremmo essere tutti felici e spensierati.
Ma non è così.

E non c’è bisogno, per accorgersene, di guardare il telegiornale o leggere su internet le notizie sulla situazione in Siria o Yemen, Cile o Bolivia.
Basta guardarsi intorno. In metrò, sull’autobus. Nelle strade milanesi: non quelle piene di negozi dalle vetrine addobbate, ma quelle dove abita la gente.
La gente reale, quella che non sempre a Natale è contenta. Quella che a Natale si sente sola. E non perché vive da sola, ma – e forse è più triste – perché vive con persone che non ama o da cui non si sente amata.

Perché a Natale chi non ha amore intorno sta ancora più male.

E questo male è quello che incontriamo noi counselor: che ci viene portato nei nostri studi, spesso con vergogna o con senso di colpa. Con la tristezza profonda e apparentemente inconsolabile di chi non ha speranza, di chi non vede davanti a sé ‘nascite’ beneauguranti e piene di promesse, ma giorni pieni di amarezza, di nostalgia, di rimpianti, a volte di rimorsi, comunque di dolore.

Per chi fa il nostro mestiere, gli incontri nel periodo di Natale sono l’occasione per stare con la sofferenza degli esclusi e degli emarginati. Di chi è parcheggiato in qualche ospedale o casa di riposo o comunità, perché troppo ingombrante. Di chi vorrebbe stare con qualcuno che ama ma non può perché ha un’altra famiglia. Di chi vorrebbe stare con i figli ma sono lontani. Di chi pensa al passato e non riesce a stare nel presente. Di chi invidia la felicità che non ha o di chi subisce l’invidia altrui. Di chi non vede l’ora che passino le feste per uscire di casa, dove starà rintanato fino alla befana. Di chi vorrebbe fuggire pur di non doversi sobbarcare pranzi e cene obbligati. Di chi, se potesse starsene per fatti suoi, si sentirebbe meno solo. Di chi vorrebbe avere un gatto o un cane, anche un criceto o un pesciolino rosso, piuttosto che parenti serpenti.

Il Natale mette in subbuglio le relazioni. Rischia di scoperchiare verità scomode, di far scoppiare bubboni, di disvelare passioni.

E noi, che per mestiere accompagniamo a stare con quel che c’è, possiamo solo stare con quel dolore, con quelle emozioni, con quel senso di mancanza, cercando di far sentire alla persona che abbiamo di fronte che almeno noi la vediamo e ascoltiamo… anche se, lo sappiamo, non le basta.

A Natale non importa ciò che troviamo sotto l’albero, ma chi ci ritroviamo intorno.

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