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L’età dell’oro

Considerazioni sull’adolescenza

di Dario Pasqualini
allievo del secondo anno del Corso triennale di formazione in counseling professionale di Collage

Del libro L’età dell’oro* mi ha subito intrigato il titolo. E poi, via via, leggendo, ho visto che sono proprio io: mi ci ritrovo del tutto. Nel passato e anche nel presente, nonostante l’età. Mi sorprende ma non so che cosa farci. L’adolescente è chi non è più, ma non è ancora, e io mi sento tra le due polarità.

Irrequietezza, non sempre sapere chi sono, vedere il corpo che cambia (ma nel mio caso in negativo), senso della transitorietà, il passaggio da una soglia verso qualcosa d’altro – e la soglia è la morte che non sento vicina, ma sento presente -, il senso di un cambiamento in atto, il senso di attesa, la curiosità di vedere che cosa succederà, poche certezze di com’è e come sarà il mondo, tendenza all’irascibilità, non so se adolescenziale o senile. Continuo a sentirmi un cane sciolto, che sta bene in un branco che si sceglie, ma deve sentirsi libero anche di andarsene.

Come adulto ho forti certezze derivanti da una vita vissuta e tante esperienze, solide relazioni affettive, una decente situazione economica derivante anche dalla mia capacità di stare anche con poco, il piacere di godermi le cose che mi piacciono, una visione pacata e oggettiva delle cose che si alterna a quella rabbiosa dell’adolescente.

E io sono in mezzo, non a metà, ma un po’ qua e un po’ là, secondo come soffia il mio vento interiore. Tra due polarità… un po’ come mi sono visto cominciando a conoscermi nel profondo attraverso la mappa dell’Enneagramma, che mi intriga sempre di più.

Dicevo dell’esperienza. Non è tanto ciò che ho fatto e vissuto, ma ciò che sto facendo. Voglio quello che sto facendo. Crollato il mito che “ciò che sarà domani, sarà migliore” (il sol dell’avvenire marxista, il benessere esteso del capitalismo, il mondo più giusto e più libero del terzomondismo), si vive oggi per non sacrificare il presente a un’ipotesi di futuro migliore. Il cambiamento, una volta tanto auspicato, è oggi una minaccia. Stiamo dove siamo.

L’adolescenza è un momento di cambiamento che smarrisce con l’ansia di ciò che verrà, è la prova emblematica di abilità al transito. Il cambiamento è viceversa una caratteristica stabile della vita dell’individuo, è condizione del vivere, è avere un domani, e nel corso della vita ci sono tante adolescenze ogni volta che si cambia. La conquista dell’età è il crescere, la consapevolezza e l’abilità di rispondere al cambiamento, il saper reggere la tensione di non avere subito una risposta. In questo manca un po’ della mia parte adulta, se non ho subito una risposta o una soluzione subentrano ansia e timore, e per atteggiamento controfobico parto all’attacco per forzare la situazione. A volte funziona, a volte ci sbatto la faccia.

Gli adulti, cioè io, spesso hanno rimosso un’adolescenza diversa; giocano a guardare gli adolescenti dalla propria esperienza, cioè dal di fuori, spesso non capiscono le loro incertezze, la loro fragilità e la loro irritabilità, spesso giudicano negativamente la loro cultura che è esperienziale, mentre la nostra è scolastica e nozionistica. Con buona intenzione li sostengono e li approvano appena possono e quando possono, ma spesso non capiscono la loro modalità relazionale che è al contempo totalmente individuale (“conto per quello che dimostro di saper fare”) e di gruppo, in cui ci si trova per farsi vedere e per imitare.

La relazione a volte sembra non esserci, sta nel chiuso della loro stanza, a volte per giorni o per mesi, regno impenetrabile perché pieno di simboli noti solo a loro; oppure esplode in evasioni improvvise, in migrazioni fisiche o emozionali. Non c’è più il territorio, il proprio territorio, come luogo fisico, ma diviene un campo di relazione, di emozioni e di esperienze infinito, senza confini, senza limiti, in cui è difficile definire i propri bisogni. Ci si perde e non si sa più chi si è, e nemmeno dove si va perché non ci sono strade da seguire. E quelle degli adulti, che una volta erano la strada maestra dei giovani, sono obsolete e portano dove loro non vogliono.

Così non sanno dove vogliono andare, perché conta la strada, il percorso, per capire e per sperimentare, non la meta che verrà fuori da sola. Come faccio io.

Ricordo la condizione permanente di incertezza in cui è difficile stare e che si tende a saturare con l’azione immediata. Ciò che si lascia è ancora così vicino, e ciò che si comincia a intravvedere è a portata di mano ma fa paura, tanta. L’incertezza è l’altra faccia della libertà cui ora accedono, non conquistata ma concessa, e la mancanza di norme accettate costringe a decisioni istantanee, impulsive. Manca la capacità di stare e di sopportare la frustrazione, manca il limite imposto da regole che non ci sono più, manca la rinuncia all’onnipotenza. Oggi tutto à standardizzato e impacchettato, manca il cercare quello che non c’è, quello che manca. C’è un eccesso di stimoli esterni e una carenza di stimoli propri.

Il cambiamento è di colpo totale. Nell’infanzia si è tutt’uno in sé, come in un guscio in cui ci si riconosce. Nell’adolescenza inizia il mondo delle cose divise. Sono uscito dall’onnipotenza dell’infanzia e sono diventato solo una parte che ha bisogno di altre parti per completarsi, che le cerca e spesso non le trova. Il sesso, nella sua separazione in due e nella necessità di ricongiungersi, è l’esempio più evidente e sofferto di questa condizione. Il cambiamento non è più supportato da riti di passaggio, non c’è transizione all’età adulta perché non c’è più un confine netto da varcare, una o più soglie da oltrepassare. I ragazzi prolungano la situazione pseudo infantile, adolescenziale, senza accorgersi di essere diventati grandi. I riti di passaggio oggi i ragazzi se li inventano nei loro gruppi di appartenenza. Sono spesso riti caratterizzati da sfida o rischio, anche di morte: nella guida spericolata, nell’uso di alcol o di sostanze, nei rapporti non protetti, ma sono riti che appartengono al loro gruppo, non sono riconosciuti, anzi spesso condannati, dall’esterno, quindi socialmente non esistono.

Gli adulti, cioè io, non capiscono le loro chiusure, il loro bisogno di segreto, il sentirsi soli al mondo, i loro silenzi, in cui si ritraggono perché non vogliono esporsi, lo sforzo di staccarsi dalla famiglia e dai suoi modelli, per cercare di essere se stessi, distacco doloroso alla ricerca di una auto sufficienza ancora da scoprire. Gli adulti non capiscono i loro fallimenti troppo coraggiosi.

L’adolescenza è l’età dell’oro perché è l’età meravigliosa di potenzialità infinite, di sogni che mai più si faranno, di sentirsi al contempo fragilissimi e onnipotenti, immortali.

Poi, man mano, e con dolore, le potenzialità si esauriscono e bisogna scegliere, e soffrire per le rinunce e le porte che si chiudono, crescere nella frustrazione di non poter avere tutto, tutto quello che si era desiderato e anche di più, tutto quello che ci si aspettava arrivasse senza nemmeno averlo saputo e desiderato. È l’età in cui i sogni, tanti, tantissimi, non muoiono, ma si riducono, si selezionano, si esauriscono perché diventano realtà quotidiana, che è di più e di meno dei sogni. Ed è un passaggio doloroso. È cambiare la pelle che si lacera. Tante cose che sembrano morte in realtà restano, da qualche parte, come in fondo a un cassetto, per poi, col tempo, a volte ripresentarsi con una forza imprevedibile.

Gli adulti spesso non capiscono perché l’adolescenza non è un fenomeno da osservare, come con i topi in laboratorio che vediamo come si comportano, ma una relazione, un rapporto da vivere insieme a loro. Questo distacco, che anch’io ho vissuto con le mie figlie, non è l’assenza di amore o di coinvolgimento – ci si potrebbe far uccidere per i figli! – ma è l’incapacità di stabilire dei livelli, essere contemporaneamente al loro livello ed essere a uno diverso. Quando il loro livello è percepito come più basso fa degli adulti dei giudici e quando è più alto porta a imitarli o a volerne fare degli amici. La realtà è condividere nella relazione ciò che loro vivono restando genitori, cioè riferimenti e guide consapevoli, non amici. E quello che loro vivono non è quello che io vivevo alla loro età, perché loro sono loro e nel frattempo, e quasi a mia insaputa, preso da tutte le cose da fare nel quotidiano, il mondo è cambiato completamente. Ogni tanto guardo fuori dalla finestra e scorgo cose sconosciute, che non so decifrare.

Per lungo tempo ho mal sopportato gli adolescenti. Li trovavo incomprensibili, arroganti, aggressivi, spesso riuniti in gruppi schiamazzanti e infastidenti. Li sopportavo con benigna superiorità. Evitavo accuratamente di ripensare e di rivivere la mia adolescenza. Adolescenza orribile, lo sapevo benissimo, ma evitavo il pensiero.

Dopo un’infanzia che percepivo come serena (ma lo sarà stata?), alle medie l’adolescenza mi è arrivata addosso come una frana che spazza via un paese. Mi sentivo grasso, brutto, impacciato, imbranato, in palestra non riuscivo a fare la pertica, niente ragazze, masturbazione sentita come mediocrità e incapacità, pochi amici, spesso in casa da solo, pessimo a scuola, ambiente familiare molto teso, pessimo rapporto con il mio corpo, non sapevo nuotare né schettinare… Tutto era difficile, sentivo che era più difficile per me che per gli altri.

Ne sono uscito negandola, considerandola una menomazione e andando avanti come un carro armato. Ci sono voluti anni, decenni, per riprendermela e accogliere in me con affetto e amore quell’io adolescente, sensibile e forte perché sopravvissuto a tutto. Gli adulti hanno in sé un patrimonio di innovazione grazie alla non sopita adolescenza

Nel falso mondo mediatico che ci circonda siamo bombardati da notizie spesso negative sugli adolescenti. Bullismo, droga, vandalismi e violenze. La realtà vera degli adolescenti è diversa, è un cammino nuovo, eccitante e spesso spinoso, ricco di aggressività e di tenerezza, in mutamento continuo di cose che vanno e vengono da sfondo a figura, in cui l’aiuto da dare è fare loro da specchio.

In futuro mi piacerebbe occuparmi di adolescenti, per esempio in un centro di ascolto presso le scuole, o in situazioni analoghe. Forse avrò ancora delle resistenze nei loro confronti, non si cancella tutto con un colpo di spugna. Non posso capire gli adolescenti in un mondo che cinquant’anni dopo è troppo diverso da quello che era il mio, ma posso cercare di accompagnarli in un percorso le cui tappe e i cui passaggi ho dovuto anch’io affrontare.

L’adolescenza è la prova emblematica di abilità al transito, in cui le sensazioni acquisiscono la forma di bisogni. La crisi va attraversata, non può essere evitata. Io come adulto devo dare credito alla mia narrazione, alla mia storia. Non farlo è toglierle qualcosa, è sleale richiudermi nella mia diversità rispetto a loro. Non posso dare consigli, ma solo comprensione e condivisione, comunicando loro quello che sento, che ho vissuto e quello che ho passato. Una testimonianza da proporre. Magari insegna qualcosa, magari serve. E io voglio crederlo.

* L’età dell’oro di Anna Fabbrini e Alberto Melucci (Feltrinelli, Milano 2007)

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